L’inquinamento da plastica rappresenta una delle sfide ambientali più critiche del nostro tempo. Nonostante non si conosca ancora appieno il rischio per la salute umana derivante dall’ingestione di micro e nanoplastiche, l’idea di bere frammenti invisibili di plastica insieme all’acqua potabile preoccupa e inquieta molti consumatori.
Recentemente, però, un team di ricercatori dell’Università del Missouri ha sviluppato una nuova tecnica che potrebbe segnare un’importante svolta nella purificazione dell’acqua, riuscendo a rimuovere fino al 99,8% delle nanoplastiche da campioni di acqua contaminata.
Gli scienziati dell’Università del Missouri hanno ideato un metodo innovativo per liberare l’acqua dalle microplastiche e nanoplastiche utilizzando un solvente liquido naturale. Questo solvente, caratterizzato da una bassa tossicità, galleggia sulla superficie dell’acqua in modo simile all’olio.
La tecnica si basa su un semplice mix che consente al liquido di raccogliere le particelle di plastica microscopiche e trasferirle in superficie. Una volta raggiunta la superficie, il solvente può essere aspirato con una pipetta, permettendo ai ricercatori di rimuovere quasi tutte le particelle di nanoplastica dai campioni d’acqua.
In test condotti su acqua salata, il metodo ha dimostrato di essere estremamente efficace, riuscendo ad estrarre il 99,8% delle particelle di polistirene, uno dei principali tipi di nanoplastiche. Questi risultati rappresentano una prova concreta di un approccio economicamente vantaggioso e potenzialmente sostenibile per affrontare il problema delle nanoplastiche. Secondo il team di ricerca, questa tecnica potrebbe in futuro essere adattata per rimuovere anche altri inquinanti presenti nell’acqua, come prodotti chimici permanenti e metalli pesanti.
Il problema delle nanoplastiche è vasto e complesso. Studi recenti hanno evidenziato che l’acqua del rubinetto e l’acqua in bottiglia contengono numerosi frammenti microscopici di plastica. Questi includono particelle di nanoplastiche di dimensioni inferiori a un micrometro.
Secondo alcune stime, ogni litro di acqua in bottiglia contiene in media circa 240.000 particelle nanoplastiche. Queste particelle non solo sono difficili da rilevare, ma anche da rimuovere, rappresentando una minaccia sia per l’ambiente che per la salute umana.
Le nanoplastiche possono avere origine da diverse fonti. Talvolta sono progettate appositamente per determinate applicazioni, altre volte derivano dalla degradazione di microplastiche più grandi. Questi piccoli frammenti possono penetrare negli ecosistemi naturali attraverso vari meccanismi, tra cui fiumi, reti di drenaggio, abrasione dei pneumatici e deflussi agricoli.
La loro distribuzione globale è allarmante: le nanoplastiche sono state trovate in ambienti remoti come il mare profondo, l’Artico e i laghi di montagna, dimostrando la loro capacità di diffondersi e accumularsi in ecosistemi vari e spesso protetti.
Le nanoplastiche non solo hanno un impatto diretto sugli ecosistemi acquatici, ma possono anche entrare nella catena alimentare, mettendo a rischio la fauna selvatica e, infine, gli esseri umani.
Il chimico Piyuni Ishtaweera, uno dei ricercatori dell’Università del Missouri, sottolinea che le nanoplastiche possono compromettere la salute degli ecosistemi acquatici e, attraverso la catena alimentare, arrivare agli esseri umani.
Inoltre, le sostanze chimiche nocive, come i metalli pesanti e i ritardanti di fiamma, possono aderire alla superficie delle nanoplastiche, creando ulteriori rischi per la salute biologica.
Attualmente, esistono diverse tecniche per cercare di rimuovere le nanoplastiche dall’acqua. Recenti studi condotti da ricercatori cinesi hanno dimostrato che l’acqua bollente del rubinetto può rimuovere fino al 90% delle nano e microplastiche.
Sebbene questa soluzione possa essere efficace per piccole quantità di acqua, non è applicabile su larga scala per corpi idrici più grandi che potrebbero essere contaminati. La nuova tecnica sviluppata dai ricercatori del Missouri presenta un’alternativa promettente e più scalabile per affrontare l’inquinamento da nanoplastiche.
Il team di ricerca dell’Università del Missouri prevede di condurre ulteriori studi per comprendere appieno la capacità del solvente progettato e per esplorare metodi di riciclo, che permetterebbero il riutilizzo del solvente stesso. Gary Baker, uno dei chimici coinvolti, spiega:
“La nostra strategia utilizza una piccola quantità di solvente progettato per assorbire le particelle di plastica da un grande volume di acqua. Attualmente, la capacità di questi solventi non è ben compresa. Nel lavoro futuro, miriamo a determinare la capacità massima del solvente e a esplorare metodi per il suo riciclo“.
La ricerca condotta dall’Università del Missouri rappresenta un passo significativo verso la risoluzione del problema delle nanoplastiche. Con ulteriori studi e sviluppi, questa tecnica potrebbe diventare un metodo efficace per purificare l’acqua da contaminanti microscopici e contribuire a una gestione più sostenibile delle risorse idriche. La lotta contro l’inquinamento da plastica è ancora lunga e complessa, ma innovazioni come questa offrono speranza per un futuro più pulito e sano.
Lo studio è stato pubblicato su ACS Applied Engineering Materials.
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