L'attività sul cellualre che può diventare reato - 3box.it
C’è qualcosa che fanno in molti con il cellulare e che di fatto può costituire un reato: ecco di cosa si tratta.
L’attenzione verso la tutela della privacy e della riservatezza delle comunicazioni digitali è oggi più che mai cruciale in un’epoca dominata da social network e messaggistica istantanea. Condividere screenshot di conversazioni private è una pratica sempre più diffusa, ma spesso sottovalutata dal punto di vista legale. Molti non sanno che questa azione può configurare un reato, con conseguenze anche penali per chi ne è vittima. Approfondiamo la normativa e le implicazioni derivanti dalla diffusione non autorizzata di chat private, con riferimenti aggiornati al Codice penale e alla giurisprudenza più recente.
La corrispondenza privata, che include non solo lettere tradizionali ma anche chat, email e conversazioni telefoniche, è tutelata dall’articolo 15 della Costituzione italiana, che ne garantisce la libertà e la segretezza. Questa tutela si estende senza eccezioni anche alle comunicazioni digitali. Di conseguenza, la diffusione non autorizzata di screenshot o registrazioni di chat private può configurare una violazione della privacy e della riservatezza, disciplinata dall’articolo 616 del Codice penale, che prevede pene fino a un anno di reclusione e multe per chi sottrae o diffonde conversazioni altrui senza consenso.
Chi invece è parte della conversazione commette reato se diffonde il contenuto senza giusta causa e causando un danno alla vittima, rischiando fino a tre anni di reclusione. La giusta causa è circoscritta all’esercizio di un proprio diritto, come la presentazione di prove in tribunale, o all’adempimento di doveri previsti dalla legge, quali richieste delle autorità.
La diffusione di conversazioni private può aggravarsi se finalizzata a ledere la reputazione del soggetto coinvolto. L’articolo 617 septies del Codice penale punisce con pene fino a quattro anni chi diffonde registrazioni o screenshot ottenuti fraudolentemente con intento diffamatorio. Se la pubblicazione avviene sui social network, considerati mezzi di stampa per la loro ampia diffusione, le sanzioni possono aggravarsi, con reclusioni fino a quattro anni e multe a partire da 516 euro.
Nel caso in cui le conversazioni contengano immagini o video a sfondo sessuale, condivisi senza consenso, si configura il reato di revenge porn, che prevede pene da uno a sei anni di carcere e multe da 5.000 a 15.000 euro.
La persona lesa dalla diffusione di screenshot può agire in sede civile chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali, morali ed esistenziali derivanti dalla violazione della privacy. È possibile inoltre richiedere la rimozione dei contenuti diffusi tramite social o altre piattaforme digitali. La denuncia può essere presentata anche al Garante per la protezione dei dati personali, che può intervenire per violazioni del trattamento illecito di dati personali.
Il danno morale si configura soprattutto quando la diffusione riguarda dati sensibili, quali orientamento sessuale, condizioni di salute o elementi della vita privata non destinati alla conoscenza pubblica.
Un caso rilevante riguarda l’utilizzo di conversazioni private come prova per giustificare un licenziamento. La giurisprudenza italiana, come nel caso del Tribunale di Firenze (sentenza n. 764/2019), ha affermato che conversazioni avvenute in gruppi chiusi di WhatsApp o Facebook, considerati equivalenti alla corrispondenza privata, non possono essere utilizzate per fini disciplinari se non vi è stata una divulgazione pubblica. Questo principio tutela la libertà e segretezza della comunicazione privata, sancita dalla Costituzione.
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