L’aumento delle temperature e l’inquinamento atmosferico stanno emergendo come fattori critici nella crisi della fertilità umana. A lanciare l’allarme è l’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology), riunitasi a Parigi per il suo 41° congresso annuale. In un documento ufficiale, la società scientifica evidenzia come cambiamenti climatici e smog siano responsabili di un peggioramento nella qualità del seme maschile e della riserva ovarica femminile, mettendo in pericolo la capacità riproduttiva delle generazioni attuali e future.
Secondo il report, l’esposizione prolungata a temperature elevate e a sostanze inquinanti comporta alterazioni dei parametri spermatici, una diminuzione del numero di spermatozoi e danni al DNA seminale. “Anche un aumento di soli 1-2 gradi della temperatura testicolare può compromettere la spermatogenesi”, spiega il dott. Alberto Vaiarelli, ginecologo e coordinatore scientifico del centro Genera di Roma. Gli studi clinici indicano che le ondate di calore in atto in Italia, con punte sopra i 40°C, rappresentano un fattore di rischio concreto per la salute riproduttiva maschile.
Anche le donne non sono immuni agli effetti del riscaldamento globale. La riserva ovarica, ovvero il potenziale riproduttivo femminile, può essere ridotta dall’esposizione prolungata a inquinanti ambientali. Ciò ha un impatto negativo sia sulla fertilità naturale, sia sulla risposta ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA).
Il documento dell’ESHRE sottolinea come oltre 3 miliardi di persone vivano in zone ad alta vulnerabilità climatica, dove gli effetti del cambiamento climatico possono compromettere gravemente la salute di donne in gravidanza, anziani, bambini e malati cronici. “Assistiamo a un incremento dei casi di infertilità riconducibili non più a fattori individuali, ma a cause ambientali sempre più diffuse”, afferma Vaiarelli.
“Tutto ciò che facciamo, il modo in cui viviamo – sottolinea il medico – influenza profondamente la fertilità. L’inquinamento atmosferico e l’ipertermia ambientale sono variabili che compromettono progressivamente la salute riproduttiva, sia maschile che femminile”. L’allarme non è solo clinico, ma anche sociale ed economico, perché mette a rischio la natalità e la sopravvivenza stessa della specie umana.
L’ESHRE chiede l’adozione di politiche ambientali immediate per ridurre le emissioni di CO₂ e migliorare la qualità dell’aria entro i prossimi 20 anni, in linea con il Green Deal europeo. La società raccomanda anche investimenti massicci nella ricerca sugli effetti dell’inquinamento sulla fertilità per poter rafforzare la prevenzione.
Nel corso del congresso ESHRE, è stato presentato anche uno studio italiano condotto dal gruppo Genera, che ha coinvolto oltre 1.200 coppie. I risultati sono incoraggianti: dopo un primo tentativo fallito di fecondazione assistita, circa il 50% delle donne ha prodotto più ovociti e più embrioni nel secondo ciclo. Tuttavia, gli specialisti avvertono: non bisogna attendere troppo a lungo per riprovare.
Secondo i dati più recenti del Registro PMA dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2022 sono state 87.946 le coppie italiane che si sono rivolte alla PMA, in aumento del 2,3% rispetto all’anno precedente. I bambini nati grazie a queste tecniche sono stati 16.718, pari al 4,3% dei nati vivi totali in Italia.
L’analisi di 1.286 secondi cicli effettuati tra il 2015 e il 2021 ha dimostrato che il 48% delle pazienti ha avuto una risposta ovarica superiore al primo tentativo. La competenza ovocitaria è migliorata nel 40% dei casi, con un incremento delle blastocisti prodotte nel 43% dei cicli. Il tasso cumulativo di nati vivi dopo il secondo ciclo è stato del 24%, indipendentemente dall’esito del primo.
Uno dei fattori più influenti è risultato essere il tempo tra i due cicli. “Ogni mese di ritardo riduce lievemente le probabilità di successo”, spiegano i ricercatori. “Anche 6 mesi possono fare la differenza”, aggiunge Vaiarelli. Il dato conferma che “le coorti follicolari sono indipendenti: ottenere pochi ovociti nel primo ciclo non preclude il successo nel secondo”.
Alla luce dei risultati, gli esperti raccomandano un cambio di approccio: la procreazione medicalmente assistita non va considerata come un evento singolo, ma come un progetto di genitorialità personalizzato e a medio-lungo termine. “Il nostro obiettivo – conclude Vaiarelli – è offrire un percorso su misura, che permetta di costruire un’intera famiglia, non solo ottenere una gravidanza. Il counseling precoce e personalizzato è essenziale, già dal primo incontro”.
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