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Boom pensioni, da gennaio arrivano 300 euro in più al mese: una sorpresa per milioni di italiani

Pensioni, aumenti medi da 300 euro l’anno: inflazione al 2,5% e perequazione progressiva garantiscono rivalutazioni più alte.

Il 2026 sarà un anno di cambiamenti rilevanti per i pensionati italiani. Dopo la fase di rivalutazione modesta registrata nel 2025, con incrementi di pochi euro mensili, il nuovo anno porterà adeguamenti più significativi. Secondo le stime basate sull’andamento dell’inflazione, certificata dall’Istat, gli aumenti in media si tradurranno in oltre 300 euro lordi all’anno per ciascun pensionato, con effetti già visibili sugli assegni di gennaio. L’incremento deriva dal tasso d’inflazione che, dopo aver toccato l’1,7% nel mese di agosto 2025, potrebbe stabilizzarsi a fine anno attorno al 2,5%. Proprio questo valore sarà utilizzato per il calcolo della perequazione, il sistema che garantisce l’adeguamento delle pensioni al costo della vita. Il risultato sarà una crescita delle pensioni sensibilmente più consistente rispetto a quella vista nel 2025, quando l’inflazione definitiva si era fermata all’1%.

Le nuove regole di perequazione e gli effetti sugli assegni

Dal 2025 è entrato in vigore un meccanismo progressivo di perequazione, ritenuto più equo rispetto a quello precedente. La rivalutazione al 100% è riconosciuta alle pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo. Sulla quota compresa tra quattro e cinque volte il minimo l’aumento scatta al 90%, mentre sulla parte eccedente le cinque volte il minimo la percentuale di rivalutazione è pari al 75%.

Pensioni
Le nuove regole di perequazione e gli effetti sugli assegni – 3box.it

La differenza rispetto al sistema passato è sostanziale. Prima, infatti, la percentuale ridotta si applicava all’intero importo della pensione una volta superata la soglia. Ora, invece, il criterio progressivo interviene soltanto sulla parte eccedente, garantendo così aumenti più consistenti per chi ha importi medio-alti. Non a caso, questa revisione era stata richiesta a lungo anche dalla Corte Costituzionale, chiamata più volte a valutare la legittimità del vecchio impianto. Con queste regole, una pensione di 1.000 euro mensili potrebbe crescere di circa 20-25 euro al mese, equivalenti a oltre 300 euro l’anno. Importi più elevati, come una pensione di 2.000 o 3.000 euro, beneficeranno comunque della rivalutazione, seppur con percentuali ridotte sulle fasce più alte. Il risultato è un impatto diffuso su tutta la platea dei pensionati, dai trattamenti minimi fino a quelli superiori, con effetti immediati sul reddito disponibile.

L’impatto sui conti pubblici e le preoccupazioni del governo

Se per i pensionati il 2026 si annuncia come un anno positivo, per lo Stato il nuovo quadro rappresenta un onere aggiuntivo. L’extra spesa legata agli aumenti delle pensioni potrebbe superare i 5 miliardi di euro. Si tratta di una cifra considerevole che pesa su un bilancio già appesantito da altre misure sociali e da vincoli di finanza pubblica. Il governo, pur avendo introdotto la nuova formula di perequazione, sa che l’adeguamento automatico delle pensioni è un impegno inderogabile. Allo stesso tempo, la dinamica dei prezzi al consumo gioca un ruolo decisivo. Con un’inflazione intorno al 2,5%, l’aumento è consistente ma non eccezionale, specie se confrontato con i picchi degli anni 2022 e 2023, quando la crescita dei prezzi aveva superato il 7%.

Nonostante ciò, la differenza con il 2025 resta evidente: da pochi euro di incremento mensile si passerà a cifre che possono fare la differenza sul bilancio familiare di milioni di italiani. È un miglioramento che interessa soprattutto chi vive con trattamenti medio-bassi, categoria più esposta all’aumento del costo della vita. Il tema resta quindi duplice: da un lato il beneficio reale per i pensionati, dall’altro il peso della spesa pubblica. La rivalutazione 2026, già definita dagli esperti “più generosa”, sarà al centro del dibattito politico dei prossimi mesi, tra la necessità di sostenere il potere d’acquisto e la ricerca di equilibrio nei conti statali.

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