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Altro che fantascienza, l’immortalità esiste davvero: la fisica quantistica sgancia la bomba

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Nuove ipotesi di fisici e filosofi rilanciano l’idea di una coscienza che non sparisce ma cambia stato, oltre il confine della vita biologica.

Da decenni l’umanità tenta di rispondere alla domanda più antica e più dura: si può davvero morire? Oppure una parte di noi continua a esistere, anche quando il corpo si ferma? Negli ultimi anni la discussione ha assunto una nuova forma. Non sono più soltanto filosofi o religiosi a interrogarsi, perché nel dibattito è entrata la fisica quantistica, con ipotesi che sembrano uscire dai laboratori più avanzati e allo stesso tempo toccano il cuore delle nostre paure. Alcuni fisici sostengono che la coscienza, intesa come campo di informazioni ed energia, non si dissolva davvero. Continuerebbe a esistere in una dimensione diversa dell’universo, un luogo che non segue le regole del tempo lineare che viviamo ogni giorno.

Il tema si intreccia con un’epoca in cui i grandi investitori puntano sulle tecnologie del transumanesimo, sognando corpi potenziati, sistemi ibridi tra uomo e macchina e un allungamento della vita oltre i limiti biologici. Eppure, mentre questo futuro tecnologico avanza, la fisica teorica sembra dire qualcosa di più radicale: la morte, come la intendiamo, potrebbe non essere un annientamento. Potrebbe essere un cambiamento di stato.

Onde, energia e coscienza: cosa suggeriscono davvero i modelli quantistici

Nel 2023 una serie di articoli scientifici e approfondimenti ha riportato al centro dell’attenzione un’ipotesi audace: nell’universo, secondo la fisica quantistica, nulla viene distrutto. Ogni particella, ogni forma di energia, ogni informazione continua a esistere, anche quando cambia struttura. È un concetto che conosciamo da tempo nelle equazioni della meccanica quantistica, ma che applicato alla coscienza apre scenari difficili da ignorare.

Per capire questo legame bisogna considerare un principio essenziale: nel mondo quantistico il tempo non funziona come nel nostro. Le particelle subatomiche possono trovarsi in più luoghi contemporaneamente, scomparire e riapparire, restare collegate a distanze immense attraverso l’entanglement, quel fenomeno sperimentato più volte che mostra come due particelle possano condividere informazioni istantaneamente, anche se separate da miliardi di chilometri.

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Onde, energia e coscienza: cosa suggeriscono davvero i modelli quantistici – 3box.it

In questo quadro, alcune interpretazioni suggeriscono che la coscienza umana non sia solo un prodotto del cervello biologico, ma una sorta di campo di frequenze, una struttura energetica che interagisce con il mondo quantistico. Se così fosse, la nostra identità più profonda non sarebbe confinata nelle sinapsi. Sarebbe qualcosa che vibra, cambia, si trasforma. Una parte di noi, quella informazionale, potrebbe non interrompersi con la morte fisica.

Molti studiosi parlano di un “stato senza tempo”, un livello dell’esistenza in cui il concetto di inizio e fine non ha senso. La coscienza, immersa in questo campo, potrebbe continuare a esistere come informazione quantistica. Non un’anima nel senso religioso, non un fantasma, ma energia che non si perde, perché nel modello quantistico tutto ciò che accade lascia tracce nel tessuto stesso dell’universo.

È una linea teorica che si intreccia con i lavori più estremi della fisica contemporanea. L’idea che l’universo sia un campo unico e ininterrotto — dove ogni particella è parte di un sistema continuo — rende più difficile parlare di “fine” assoluta. La vita cambia forma, esattamente come qualsiasi fenomeno energetico. Ogni essere vivente, ogni pensiero, ogni emozione contribuisce a una rete di informazioni che non si cancella, ma resta in circolazione nel sistema.

La morte come cambiamento di stato energetico: un’interpretazione che divide scienza e filosofia

L’immortalità biologica, quella del corpo, rimane fuori dalla portata della fisica quantistica. Non esiste una teoria che prometta di mantenere intatto un organismo per sempre. Ma ciò che alcuni studiosi ipotizzano è diverso: la morte sarebbe un passaggio, non un’interruzione. Un cambiamento nel modo in cui la coscienza interagisce con il campo quantistico che permea l’universo.

È una visione che si avvicina sorprendentemente alle intuizioni di antiche tradizioni filosofiche. Parmenide diceva che “l’essere è e non può non essere”: un principio che oggi, paradossalmente, trova eco in alcune letture della meccanica quantistica. Se l’informazione non si distrugge, allora ciò che siamo — il nostro insieme di memorie, percezioni, impulsi — potrebbe restare in una forma che non comprendiamo ancora.

Chi lavora alla frontiera della fisica teorica studia la coscienza come fenomeno quantistico già da anni. Secondo questa ipotesi, le onde cerebrali e i processi mentali potrebbero avere componenti che non dipendono totalmente dal cervello materiale. Quando la parte biologica cede, la parte energetica — quella che vibra, quella che registra informazioni — continuerebbe a esistere in una dimensione non osservabile con i mezzi attuali.

Non significa immortalità come la immaginano i sostenitori del transumanesimo, che cercano di conservare la mente dentro macchine o interfacce neurali. Significa qualcos’altro: che esiste una continuità nell’universo e che noi, come qualunque altra forma di energia, non spariamo nel nulla. Ci trasformiamo.

L’ipotesi divide gli scienziati. Alcuni la considerano una prospettiva interessante, altri la giudicano non verificabile. Eppure la discussione non si spegne, perché il confine tra fisica, filosofia e neuroscienze è sempre più sottile. La domanda, in fondo, resta la stessa da millenni: cosa accade davvero quando smettiamo di respirare? La fisica quantistica non dà risposte definitive, però apre spiragli. E invita a pensare che la morte non sia un muro, ma una soglia.

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